mercoledì 30 dicembre 2009

IL PRIMO DELL'ANNO NEGLI AUSPICI CONTADINI


ALTRO CHE OROSCOPI !!!!
SEGUI GLI AUSPICI CONTADINI
DEL PRIMO DELL'ANNO
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La festa è inevitabilmente collegata con quella della fine dell’anno vecchio.
L’uso di attendere la mezzanotte del 31 dicembre è presente anche nella civiltà contadina, anche se spesso si trattava di piccole festicciole oppure della classica “mattacena”, ovvero una cena fuori dell’ordinario, senza misura e parti, che ricordava molto gli attuali Cenoni dell’Ultimo dell’Anno.
Capodanno è una festa di auspici e di previsioni.
Per il primo giorno dell’anno è in uso mangiare un “grappolo d’uva” che dovrebbe portare ricchezza. Altrove si parla di dodici chicchi di uva, da mangiare con i rintocchi della mezzanotte, alla ricerca di un po’ di fortuna. Per gli stessi motivi, si considera - ancora oggi - come fonte di fortuna e ricchezza il cenare con un bel piatto di lenticchie. Mentre per i capi di abbigliamento era buon uso rinnovarne uno appositamente per questo primo giorno. Mentre era di buon auspicio gettare dalla finestra, alla mezzanotte, un oggetto vecchio ed usato
Il primo giorno è inoltre importante per capire come sarà l’intero anno.
La prima persona che si incontra uscendo fuori di casa sarà importante al fine delle previsioni su come sarà l’andamento del proprio anno: se è un uomo, una grande fortuna, se è una donna, un “vero” disastro! .
Un’altra consuetudine sono le “calende”, ovvero stare attenti al clima dei primi dodici giorni dell’anno per avere delle previsioni meteorologiche annuali. Se quindi il primo dell’anno splenderà il sole, allora anche tutto il mese di gennaio sarà buono, ma se il due gennaio pioverà, attenzione, perché febbraio sarà bagnato e così via. A San Pantaleo e Lamporecchio, invece, si pensa esattamente all’inverso, se il primo giorno è bello, il mese di gennaio sarà bruttissimo, se il secondo è bello, anche febbraio sarà brutto, e così via
In realtà, non da tutte le parti, Capodanno veniva festeggiato il primo gennaio.
Nelle vicine Pisa e Firenze, infatti, il primo giorno dell’anno si festeggiava il 25 marzo, ovvero la festa dell’Incarnazione o dell’Annunciazione, ovvero esattamente in corrispondenza al nono mese antecedente la nascita di Gesù.
Nonostante l’entrata in vigore nel 1582 del calendario gregoriano che fissava al 1 gennaio, “ il primo dell’anno”, a Firenze si continuò a considerare il 25 marzo come il Capodanno Fiorentino. Ciò avvenne finchè il Granduca Francesco II di Lorena con decreto del 1749 sancì la fine di tale usanza.
dalla scheda di " Natale a San Pantaleo e sul Montalbano", 2007
a cura della Dama di Bacco

martedì 29 dicembre 2009

PRONTUARIO PER IL BRINDISI DI CAPODANNO CON GLI AUGURI DELLA DAMA DI BACCO DI VINCI

augura a tutti
un felice Anno Nuovo !
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Il piccolo Comitato della Dama di Bacco di Vinci, che ormai resiste dal 2007, è lieto di porgere a tutti gli amici del blog i migliori auguri di un felice Anno Nuovo, con la speranza di rinnovare l’ incontro e scoprire nuovi amici nel corso delle prossime iniziative, magari lungo i sentieri di Vinci, o meglio, gli itinerari del cuore.
Un saluto particolare ai vinciaresi nel mondo contraccambiando gli auguri, nella certezza di vederci ben presto a Vinci.
A tutti quanti la Dama di Bacco vuole fare un piccolo dono di poesia fornendo un simpatico prontuario per il brindisi di Capodanno, prendendo a prestito i suggerimenti di un grande scrittore italiano, scusandoci con chi magari nel corso di quest’anno abbiamo inconsapevolmente dimenticato o non considerato come veramente merita.
Buon 2010 !!!

Prontuario per il brindisi di capodanno
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Bevo a chi è di turno, in treno, in ospedale,
cucina, albergo, radio, fonderia,
in mare, su un aereo, in autostrada,
a chi scavalca questa notte senza un saluto,
bevo alla luna prossima, alla ragazza incinta,
a chi fa una promessa, a chi l’ha mantenuta
a chi ha pagato il conto, a chi lo sta pagando,
a chi non è invitato in nessun posto,
allo straniero che impara l’italiano,
a chi studia la musica, a chi sa ballare il tango,
a chi si è alzato per cedere il posto,
a chi non si può alzare, a chi arrossisce,
a chi legge Dickens, a chi piange al cinema,
a chi protegge i boschi, a chi spenge un incendio,
a chi ha perduto tutto e ricomincia,
all’astemio che fa uno sforzo di condivisione,
a chi è nessuno per la persona amata,
a chi subisce scherzi e per reazione un giorno sarà eroe,
a chi scorda l’offesa, a chi sorride in fotografia,
a chi va a piedi, a chi sa andare scalzo,
a chi restituisce da quello che ha avuto,
a chi non capisce le barzellette,
all’ultimo insulto che sia l’ultimo,
ai pareggi, alle ics della schedina,
a chi fa un passo avanti e così disfa la riga,
a chi vuole farlo e poi non ce la fa,
infine bevo a chi ha diritto a un brindisi stasera
e tra questi non ha trovato il suo.

Erri De Luca
Da “L’ospite incallito”, Einaudi Editore, 2008


Scardina, primo vincitore della Dama di Bacco, 1979
La Via di Caterina, dicembre 2009

domenica 27 dicembre 2009

I SANTI GIOVANNI, LA FESTA SMARRITA DI VINCI


27 dicembre, nel dì di San Giovanni Evangelista
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LA FESTA DEI SANTI GIOVANNI
ovvero
la festa smarrita di Vinci
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La Festa dei Santi Giovanni, antichi protettori della comunità vinciana, trova riscontro e una precisa descrizione negli antichi Statuti del Comune di Vinci del 1418 (R. 51) e del 1564 (R.21). I Santi Giovanni sono da distinguere con il patrono Sant'Andrea, definito protettore e avvocato del Popolo di Vinci nella versione cinquecentesca degli Statuti, laddove S.Giovanni (Evangelista), viene definito nel 1418, “protectore e defensore del Comune di Vinci”, perdendo nel 1564 il primo titolo in favore di Sant’Andrea. In verità, prima ancora, ovvero nel 1318, il Comune di Firenze aveva imposto San Giovanni Battista come unico "patroni et protectoris communis Vinciii". San Giovanni Battista era infatti considerato il “simbolo della rettitudine morale e della correttezza politica”, su cui Firenze medievale aspirava a fondare la propria fortuna economica ed il “buon governo” della cosa pubblica. A San Giovanni Battista veniva peraltro dedicata l’antica Pieve di Sant’Ansano, appena fuori Vinci. Alla fine del Trecento, infine, si faceva riferimento a due facinorose fazioni all’interno del popolo distinte proprio fra loro con il nome di Santa Croce ( a cui era intitolata la cappella del Castello) e di San Giovanni ( l’antiva pieve fuori le mura). A Vinci, i due Santi Giovanni venivano festeggiati cumulativamente il 27 dicembre, ovvero in occasione della festività del San Giovanni Evangelista


Il salice, simbolo di Vinci, 2009
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Si trattava di una vera e propria festa civile del Comune ( che comprendeva anche i popoli di Vitolini e Faltognano). La cerimonia prevedeva, che nel giorno della festa di San Giovanni Evangelista, i Capitani e i Camarlinghi del Comune, per vincolo del loro giuramento, dovevano curare che almeno dieci preti celebrassero la mattina di San Giovanni Evangelista la messa nella chiesa di Santa Croce di Vinci. All'altare di detto Santo si doveva cantare una messa solenne, preceduta dall’appello di tutti i Consiglieri, Camarlinghi, e Capitani del Comune, pena la decadenza dall’incarico ed una sanzione pecuniaria, in assenza di valida giustificazione. Dopo la solenne cerimonia il rettore della Chiesa di Santa Croce doveva porre la croce in mano ad uno dei sacerdoti, mentre un altro prete veniva parato, insieme ad un diacano e un sottodiacono, per uscire in processione con tutti gli altri preti, ciascun con indosso la cotta. Al loro seguito si poneva quindi il Podestà e il suo notaio, con essi dovevano essere anche i dodici Consiglieri del Comune, Gli Statuti prevedevano che il Podestà doveva avere in mano una “falcola di cera gialla di peso d'once sei”, mentre il Rettore di Santa Croce, i Capitani e Notai del Comune una di once tre per ciascuno, gli altri preti e i Consiglieri una di once una. La processione si svolgeva, “laudando Dio con detta cera in mano accesa”, fino alla raffigurazione della Vergine posta nell’abitazione del Podestà, dove veniva detta la messa e offerto un “quactrino” a tutti i presenti (dal XV al XVI secolo), mentre dalla fine del cinquecento la processione arrivava fino alla “Vergine di Borgo” per ritornare in Santa Croce. La cera avanzata veniva offerta alla Compagnia del Corpo di Cristo per le varie occorrenze “per essere detta compagnia povera”. Ai preti veniva pagata la solita elemosina, secondo il ruolo e la funzione svolta, direttamente dal Camarlingo
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Il salice purpureo, 2009
A cura di Nicola Baronti
dalla scheda di " Natale a San Pantaleo e sul Montalbano " , 2007

mercoledì 23 dicembre 2009

AUGURI DI UN SERENO NATALE A TUTTI GLI AMICI DELLA DAMA DI BACCO

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BUON NATALE
A TUTTI GLI AMICI
DELLA DAMA DI BACCO
Vinci, 25.12.2009
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Il pino di Ceoli, Vinci 2009

L'INCANTO DEL NATALE

Fra le molte cose che l’uomo si trascina dalla preistoria una è l’incanto del Natale; una parola detta secondo una scansione e accompagnata dal gesto rituale che avrà contraddistinto una celebrazione primordiale, che si è poi coniugata giù per le varie civiltà, portando fino a noi, in modo oscuro e irriconoscibile, il segno di un rozzo quanto sublime tentativo di creare una sintonia fra la mente ed il tempo.
Proprio il tempo, nel momento del solstizio, pare segnare una misteriosa pausa, un respiro cosmico: qualcosa nell’ordine universale s’inverte, per cui, entrando in sintonia con questo moto, l’uomo pensò di trovare una cifra delle cose e quindi forse anche la propria salvezza. In questo punto nodale della vita il Cristianesimo pose la nascita del Salvatore.
Il Natale è quindi uno dei momenti più misteriosi del ciclo tradizionale dell’anno.
Già nel calendario romano era particolarmente solenne, finché non si è avuta una sovrapposizione della festa religiosa sulla festa pagana. La festa religiosa ha quindi uno stretto legame con un fenomeno naturale o, meglio, con un fenomeno astronomico: l’andamento discendente delle ore d’illuminazione del sole è finito con il solstizio di inverno, e riprende l’aumento della luce nel corso delle giornate, anche se lento e graduale. E’ come se il sole rinascesse e ricominciasse il suo giro, la forza delle tenebre non è riuscita a prevalere sulla sua luce, cosa che rimanda alle paure arcaiche della morte del sole delle quali abbiamo testimonianza nei miti e nei fuochi notturni che la tradizione popolare pone in particolari festività. E non è un caso, che il Natale si pone in antitesi con il periodo del solstizio d’estate, anch’esso celebrato con grande solennità al 24 giugno per San Giovanni, che pur seguendo di poco il solstizio di fatto lo segna. Anche la notte di San Giovanni ha connotati profani: è la notte dei sortilegi e degli spiriti, il momento in cui le tenebre ricominciano a vincere.
Nella notte di Natale però tutto si capovolge. La notte è finalmente dominata dalle manifestazioni di forze benefiche, come gli angeli che cantano nel cielo.
Il Natale ha anche una corrispondenza con il ciclo della vegetazione.
Si celebra la discesa intima e nascosta del Verbo nel mondo e questo trova analogia con il seme del grano che, sceso da poco nel grembo della terra, comincia a schiudersi lentamente e a prendere possesso del nuovo mondo in una vicenda segreta, come il Cristo storico, sceso nel seno della Vergine, nasce nel buio della grotta, svelandosi sotto gli umili e ai soli veri sapienti. Anche Cristo, già atteso nell’Avvento, come il seme della terra cresce nelle successive feste dell’anno, fino alla pienezza dell’Ascensione e della Pentecoste.
Non a caso il cuore dell’uomo viene, nella simbologia tradizionale, raffigurato come una grotta, il riparo dello Spirito nel confuso caos della Materia, e non a caso si ripete la nascita di Cristo nella grotta, simbolo che S. Francesco diffuse con la pratica del presepio.
E’ proprio il presepio un’altra forma misteriosa di celebrazione che nella sua semplicità nasconde segreti filamenti che lo collegano alla natura e ai cicli astronomici. Nel momento in cui tolemaicamente il sole inverte il suo cammino, ecco che la natura ha un attimo di sospensione e di meraviglia: tutto si ferma per un istante come disorientato di fronte a qualcosa che muore e davanti a qualcosa di portentoso che nasce….. una sorte d’estasi cosmica che pare la chiave d’interpretazione degli umili atteggiamenti dei personaggi del presepio, che la tradizione raffigura costantemente fissi nel loro unico gesto.

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Albero del Natale 2009, Vinci 18 dicembre 2o09

sabato 19 dicembre 2009

ANNO NEVOSO, ANNO FRUTTUOSO ! VINCI E E LA NEVICATA DEL 2009

Vinci, di bianco vestita - 19 dicembre 2009

LA NEVICATA DEL 2009
Vinci, 18-19 dicembre
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Vinci e la neve,
secondo il detto popolare toscano
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Vinci si è svegliata di bianco vestita. Silenziosa. Solo il grido degli uccelli ad esorcizzare l’inverno e la fame. Un risveglio lungo, quasi sospeso, quello della neve. Poi, i primi coraggiosi come bambini impazienti a toccare, pestare, vivere la neve; chi con divertimento per la sorpresa; chi con affanno per un impedimento in più alle ordinarie incombenze giornaliere, chi per lavoro al fine di rendere libere e sgombre le strade e le comunicazioni con le varie frazioni del Montalbano.


San Pantaleo e il salice rosso, La Via di Caterina 2009
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A Vinci la neve non viene tutti gli anni e quindi costituisce sempre una sorpresa, anche se in verità sin da ieri pomeriggio “nevicava a minuto” ovvero “ che la voleva alzare al buco”, come dice il vecchio detto. Anche perché vi erano tutte le condizioni meteorologiche per cui non “nevica mai bene, se di Corsica non viene”. E’ certo che in questo periodo, tutto sommato, non viene ad intralciare molte attività dei campi, se non qualche ritardatario nella raccolta delle olive, quindi “ buona è la neve che a suo tempo viene”. Del resto “ la neve Sant’Andrea l’aspetta, se non a Sant’Andrea, a Natale; se non a Natale, più non l’aspettare”.

La Valle del Vincio e i salci rossi, sulla via di Caterina - 2009
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“Anno nevoso, anno fruttoso”, dicevano i contadini di un tempo, perché “ sott’acqua fame, e sotto neve pane” o similmente “ quando la neve s’inverna in piano, val più il sacco che non vale il grano”. C’è chi come il Targioni Tozzetti riferiva dal detto popolare che “ la neve per otto dì è alla terra come mamma, da indi in là come matrigna”. Un senso tale affermazione ce lo doveva avere visto che si ritiene che “ la neve che viene prima di Natale: due inverni in quell’anno” oppure che “ se nevica prima di Natale sette volte s’ha da rifare”. Speriamo che non rechi danno con le gelate. Chi non dimentica quella storica del 1985? Questo perché “la neve prima di Natale dura più dell’acciaio” ( a differenza di “ quella di febbraio che è come la paglia sull’aia”), anche in considerazione delle basse temperature e del gelo, “
neve dicembrina dove cala fa ghiaccio”.

La Via di Caterina sotto la neve, 2009

.Quali sono le previsioni e gli auspici contadini legati alla neve ?
Dopo la neve, buon tempo viene”, anche perché “ la neve non lasciò mai ghiaccio dietro” e guai se lo lasciasse – come annotava il Giusti – imputandole gli eventi che avvennero in Toscana nel 1845 e 1849.
E anche vero che mentre la neve copre tutto, il bello e il brutto, le benfatte e le malefatte; il bel tempo ci riporta alla realtà delle cose, per cui se “ alla squagliarsi della neve compaiono i monti” è altrettanto vero il detto che“ alla squagliarsi della neve compaiono … gli stronzi “.
Parola di contadino, parola di Gangalandi
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Vinci dalla via degli Spiriti Gloriosi - La Via di Caterina, 2009
Da Il Calendario Contadino di Gangalandi

domenica 13 dicembre 2009

La gelata con i salci rossi, Vinci 2009
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IL FIUME E IL SALICE
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Storia e leggenda sulle origini del nome VINCI
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Il paesaggio di San Pantaleo ovvero di quel borgo allargato che da Vinci si estende a valle fin quasi al confine con il Padule di Fucecchio si caratterizza per la presenza di molti vigneti, dai quali si produce un rinomato vino, e dalla presenza di un piccolo torrente circondato da piante particolari i salici rossi, altrimenti detti salci.
Costituiscono fra di loro elementi di una piccola filiera, laddove il salice debitamente bagnato e lavorato un tempo veniva utilizzato per legare o annodare le tralci delle viti. Leonardo da Vinci lo ricorda benissimo in una delle sue più famose favole: il salice e la vite. Come del resto, in alcune rubriche degli Statuti comunali di Vinci dei tempi di Leonardo fanciullo si vietava alla gente di lasciare a macerare i salci, ma anche il lino, lungo il rio castellano, in prossimità del paese, pena gravi sanzioni in denaro.
Tali elementi, il fiume e il salice, assumono nella storia, o meglio nella leggenda, di Vinci e della famiglia omonima ( i Da Vinci) una rilevanza importantissima. Indipendentemente dalla presenza in questa valle della madre di Leonardo, Caterina, come recentemente dimostrato, e ancora prima della storia di quella antica San Pantaleo coeva allo stesso castello dei Conti Guidi ( la piccola chiesa di San Pantaleone Martire veniva infatti ceduta unitariamente al castello di Vinci dai Conti Guidi al Comune di Firenze nel 1255), questi due elementi, il fiume ed il salice, denotano la culla “naturale” del luogo dal quale deriva proprio il suo nome: Vinci.
Superate certe teorie ( Don Quirino Giani – Clemente Lupi, vissuti alla fine del 1800 e primi del 1900) per cui il nome del paese deriverebbe dalla famiglia romana Vinicia che si presume avesse qui dei possedimenti ( fundus vinicii), sono oggi più accreditate quelle teorie che ne fanno derivare la radice dal nome del torrente che attraversa la piccola valle, il Vincio, e dal vinco ( al plurale vinchi, ma in antico vinci, di derivazione latina vincus) ovvero il salice, la pianta che caratterizza il paesaggio soprattutto autunnale, quando i rami diventano rossi, da cui l’aggettivazione salice purpureo. Con i rami giovanili e flessibili di questa pianta i contadini realizzavano soprattutto in passato i canestri, le fruste, oppure i vinci venivano utilizzati per legare i mazzi e le viti. Il termine vinco deriva dal latino tardo e volgare vincu/vinci (e da vincere e vinculum: rispettivamente, legare e nodo/legame nel latino classico) che si traduce vimine o salice.
( dal progetto LA VIGNA IN CONDOTTA, a cura di Slow Food Vinci e Montalbano)