Venerdì, 1 aprile 2011 alle ore 21,15 torna a Vinci la veglia poetica nella Biblioteca Leonardiana (g.c.) con il poeta e saggista empolese, Massimo Corsinovi. Diplomato al Liceo Pontormo di Empoli e laureato in Lettere all’Università di Firenze, ha al suo attivo collaborazioni con la RAI, la «La Nazione» e varie riviste. Lavora alla Redazione della Rivista di Ascetica e Mistica dei padri domenicani nel convento fiorentino di S. Marco. Numerose le sue opere e pubblicazioni, dall’esordio, ancora studente, di Segni sul limitare, prima raccolta di poesia degli anni Ottanta all’ultimo L’infinito anelando. Clemente Rebora poeta e testimone di Cristo, Edizioni Nerbini, Firenze 2010. Due testi che rappresentano molto bene due dei grandi interessi dell’autore empolese, la poesia e lo studio critico dell’opera di Clemente Rebora. Significativo è il titolo della veglia, Ali di luna, ispirata ad una sua raccolta di poesie del 2006, edita da Polistampa, che ha ottenuto numerose recensioni a livello nazionale, anche per una forma poetica che non sembra avere riscontri nella storia della poesia contemporanea. Come è stato fatto notare la parola di Massimo Corsinovi proviene « direttamente dal silenzio: attimi di meditazione che riportano allo stato primordiale delle cose, liberandole definitivamente dal superfluo del quale l’Universo è pieno. Il grande Mario Luzi lo ha definito per l’appunto “il poeta del silenzio”, quasi a sottolineare la morbidezza dei versi dell’autore corroborati però da una forza e un valore carichi di tensione contemplativa». La sua poesia, come sottolinea Sergio Givone è quindi anche «una capacità, una forza, un’energia, una vera e propria potenza del linguaggio, che riesce a sprigionare dal linguaggio stesso un incanto, là dove sembrerebbe impossibile ritrovarlo, l’incanto, nel nostro mondo disincantato».
, .sabato 26 marzo 2011
A VEGLIA CON ALI DI LUNA Vinci 1 aprile 2011
venerdì 25 marzo 2011
IL POPOLO DELL'ANNUNZIATA, VINCI 25 MARZO
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Un vecchio tabernacolo con i finanziamenti del popolo e dei maggiorenti di Vinci venne dal 1610 trasformato in oratorio e poi benedetto, come da successiva attestazione del Vescovo di Pistoia :“fuit benedictum a D. Vicari Ludovico de Landinis, die 16 maii 1612.” –( cfr. R. Cianchi, Vinci Leonardo e la sua Famiglia, Milano, 1953, pag. 16). Grazie alle cospicue somme di un lascito testamentario del 1615 da parte di un benemerito cittadino illustre, Bartolomeo di Domenico Santini, Ministro e Agente dell'Ospedale di Bonifacio, la piccola Chiesa ebbe anche un cappellano nel Parroco della vicina Streda. ( A. Mazzanti, Il piccolo Santuario della Madonna, Pistoia 1924)
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Entrambi segnano un momento di passaggio e di crescita.
Il primo l’estensione del paese dalle vecchie mura medievali verso la pianura (il “piano” della Madonna come viene ancora oggi chiamato dalla gente) con il contributo del popolo e dell’allora Consiglio dei Nove; il secondo l’urbanizzazione effettiva della parte bassa del paese all’inizio del Novecento, con le abitazioni ancora oggi esistenti e la costruzione del campanile come punto di riferimento, centro nevralgico nel crocevia di popoli, diocesi e strade.
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giovedì 17 marzo 2011
IL MIRACOLO VINCIARESE DEL TRICOLORE !
serbi un cor veramente italiano,
del più caldo santissimo affetto
palpitare a tal vista dovrà.
De’ colori più belli dell’iri
si compone quel santo vessillo,
or chi fia che ondeggiar lo miro
o che l’alma non senta infiammar?
Il vermiglio ti dice che il core
arde in petto del prode italiano,
ed il bianco ti addita il candore
e la fé di chi vola a pugnar.
La speranza d’Italia è nel verde:
finalmente vi trovi scolpita
la speranza che l’ultima perde
chi s’accinge la patria a salvare.
Un miracolo della bandiera tricolore
Un aneddoto risorgimentale
tra storia e leggenda
La bandiera fu portata in torre e dietro a lei una lunga antenna sulla quale, dopo una mezz’ora, mescolando i suoi schiocchi con la voce del campano che chiamava a festa le campagne, essa incominciò a sventolare, giovine e allegra, dentro un sereno di paradiso.
Un branco di ragazzi, fra i quali il sottoscritto ( Renato Fucini, giovinetto fra i 15 e 16 anni), ci fogammo dietro ai portatori della bandiera e dell’antenna fino all’alto della torre; e di lassù incominciammo a mandare battimani e strilli di gioia al popolo radunato che ci rispondeva e ai malfattori che giù, in piazza, dato fiato alle trombe, assassinavano inni patriottici disperatamente.
Millo, dopo desinare era, secondo il solito, un po’ alticcio; per cui partecipando anch’egli alla gioia generale, rispondeva alle acclamazioni che salivano dalla piazza, urlando, smanacciando e ballonzolando, da uomo che ci aveva confidenza, sulla cimasa del parapetto.
Ad un tratto, un urlo di terrore si alzò sulla torre e nella piazza, il campano e gli strumenti di lavoro tacquero, e tutti gli occhi furono rivolti al corpo sgangherato di Millo, il quale, sdrucciolando e cadendo, era rimasto in bilico su quel muro, alto da terra una trentina di metri, dove, col capo fuori e le gambe dentro, rimase per qualche secondo ad oscillare, fra la vita e la morte. Due o tre dei più animosi si avventurarono per agguantarlo, ma quel raccapricciante oscillamento durò così poco che non furono in tempo. Millo scivolò nel vuoto, e, quasi nello stesso istante, scoppiò un nuovo urlo disperato, si udì un tonfo, uno sgretolìo di tegoli e poi il silenzio.
Successe un momento di esitazione; quindi giù tutti a precipizio per le scalee.
Appena incamminatomi per la scesa che mena alla piazza, le prime persone che incontrai, per farmi ricordare che ero vivo, furono: mio padre che accorreva per dar soccorso materiale; il proposto che portava i suoi conforti spirituali, e un parente del caduto, il quale correva tenendo in mano un corbello per metterci dentro (come disse poi a chi gli domanda la ragione di quel corbello) le ossa di Millo.
Millo era cascato sopra un tetto. Sfondato il tetto, la Provvidenza lo aveva fatto precipitare sopra un letto dove era a dormire un disgraziato, il quale poco mancò che non morisse dallo spavento al rovinio di carne umana, travicelli e di tegoli che gli scaricò addosso, svegliandolo.
Millo, incontrati fuori della porta, il medico, il prete e il parente del corbello, chiese loro, per carità, un bicchiere di vino perché il suo disturbo era stato così grozzo che quasi non si reggeva più sulle gambe.
Incerottate alla lesta le poche sgraffiature che aveva nel viso, Millo andò sollecito a casa a rifocillarsi, i musicanti e il popolo furono presi da nuovo accesso di furore patriottico, e la bandiera continuò a sventolare maestosa nell’immacolato sereno della sua Italia.
Renato Fucini, da Un miracolo della bandiera in Acqua Passata, 1918
. -. L'ex-voto di Millo, VinciMILLO BRIA'ONE, IL CECCO SANTI DEL 1861 ?
Il volo di Cecco Santi, manifestazione folkloristica comune a molti paesi della Toscana, dalle origini storiche tuttavia ancora molto incerte (a Vinci sembra iniziata soltanto nei primi dell’Ottocento), ha assunto una propria autonoma leggenda popolare, peraltro legandola indissolubilmente al “vino di Vinci” e alla vicenda umana di Millo, cosí come viene riportata dalla tradizione orale. Il fatto a cui ci si riferisce viene ripreso nelle cronache locali, trascritto nel 1872 dall’Uzielli e dal Signorini nelle celebri note di viaggio a Vinci (i quali accomunano la manifestazione, “per bocca” di un ragazzo vinciano, allo storico volo di Empoli); riportato dal Fucini in un racconto con risvolto patriottico, seppure datandolo al 27.04.1859 (per cui Millo “adoratore di Bacco” sarebbe caduto mentre andava a sventolare il tricolore sabaudo, dopo la partenza dell’ultimo Granduca); annotato da don Quirino Giani, lo storico priore di Santa Lucia nei primi del Novecento, che riporta tuttavia l’episodio al Volo di Cecco Santi del 1861, in occasione della festa della Santa Trinità del 26 maggio 1861.
Secondo quest'ultima versione un certo Filippo Fabbrizzi, soprannominato Millo, “ un fabbro lungo lungo, magro allampanato e bevitore impenitente “ , che per l’occasione svolgeva la funzione di “campanaio” in su la torre di Vinci (questo secondo il Signorini, che ne faceva anche un piccolo disegno), ormai ubriaco a causa delle soverchie libagioni di vino offerte al fantoccio, ma da lui consumate, precipitava al di sotto del cassero, sfondava il tetto di una camera e per la botola di essa andava a finire, ruzzolando, nella cucina sottostante di un certo Bruschino, giacente infermo in una piccola camera, ove Millo pressoché illeso dal volo fece cosí stranamente il suo ingresso.
La gente gridó al miracolo e volle addirittura che ne fosse perpetuata la memoria in un quadretto ad olio ex voto per l’altare del SS. Crocifisso, ancora conservato nella Chiesa propositura di Vinci.
“ I men credenti “ - conclude don Quirino – affermarono che l’ampia camicia di Millo, gonfiatosi a piú non posso durante la caduta, lo salvó da certa morte, funzionando mirabilmente da paracadute”.
I piú burloni invece hanno tramandato e attribuito la sua salvezza all’indubbia forza salvifica del vino di Vinci, grazie al quale il protagonista Cecco – Millo, come in una sorta di supremo giudizio divino, dopo quello funesto e goliardico degli uomini, riusciva a scampare da una rovinosa fine.
N. Baronti: Appunti per una storia del vino di Vinci da www.grappina.it
Quale versione sia più attendibile non è dato sapere, tuttavia dall’ex-voto ancora conservato presso la Propositura di Vinci sopra la vecchia torre sventola la bandiera tricolore di cui alla memoria del sor Renato : “giovine e allegra, dentro un sereno di paradiso” .
mercoledì 16 marzo 2011
LA FESTA DELLA POESIA , SAN MINIATO 2011
Carducci a San Miniato
Conclusione con un omaggio a Dante Giampieri. Lettura di brani e versi delle sue opere, a cura dell’Associazione culturale capannese, e l’intervento dello scrittore ed editore Aldemaro Toni. Il quale, nel 1987, pubblicò con la collaborazione del Comune di San Miniato, nei quaderni dell’Erba, l’antologia “Per Dante Giampieri”. Antologia che vede insieme Alessio Alessi, Luigi Baldacci, Manlio Cancogni, Mario Luzi, Piero Malvolti, Marinella Marianelli, Giuseppe Nicoletti, Mario Novi, Alessandro Parronchi, Piero Santi, Silvano Tartarini e Aldemaro Toni: tutti a parlare, con cognizione di causa, di un poeta e narratore di vaglia, nato a San Miniato il 1° aprile 1919 e morto a Firenze il 12 ottobre 1985. Non scrisse molto, ma tutto degno d’essere ricordato. Citiamo: “Fiori di serpe”, “Poesie”, “La ragazza di Castelfranco”, “L’amore di Martin Dolce e Serafina”.
Fonte: Comune di San Miniato
venerdì 11 marzo 2011
IL GARIBALDINO VINCIARESE, VINCI 1867
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Garibaldi dopo le acque di Montecatini fu invitato dai Martelli a Vinci i quali chiesero poi al Conte Masetti di prenderlo a casa sua. Ciò ch’egli fece e mise la casa in piena disposizione di Garibaldi con queste parole : Fin da questo momento cessa ogni mia ingerenza in questa Villa. Ecco ciò che Garibaldi faceva: alle quattro del mattino si alzava, prendeva una doccia fredda e per via Botanica faceva una gita ad Anchiano alla casa di Leonardo per cercare di acquistare diceva egli: qualche cosa del genio di quel grand’uomo tornava a casa, dava… ; poi faceva colazione al mezzogiorno e andava a letto; alle quattro pranzava poi ricominciavano le sedute. A pranzo vi era sempre 18 o 20 persone. Migliaia di persone venivano a vederlo.
Il primo contadino che si presentò volle baciargli la mano: ma Garibaldi rispose che le mani si baciano ai Preti; che egli riguardava il contadino come superiore al soldato perché esercitava un’arte più nobile e che è essenziale per vivere. Consigliò l’obbedienza ai padroni e finì dicendo che accettava un bacio in viso che nobilita, ma non sulla mano, che umilia.
E così fece; ogni contadino che a lui si presentava era da lui baciato. Il Conte Masetti contò una domenica i baci che diede, fra uomini e donne ne contò più di 400.
G. Uzielli- T. Signorini : 1872 Gita a Vinci – Edizioni dell’Erba
I Vinciaresi snobbati
Dalle cronache del tempo emergono anche le grandi delusioni degli intellettuali e signori del luogo. I Fucini invitarono Garibaldi a pranzo da loro, ma nonostante i preparativi , il Generale non si presentò per un sopravvenuto impegno. Anche il Conte Masetti cercò di stabilire un successivo rapporto epistolare con il Generale, a cerca di cimeli per il suo soggiorno. Garibaldi non gli rispose mai. I nobili vinciaresi misero delle grandi epigrafi marmoree sulle abitazioni che ospitarono Garibaldi. Vinci possiede, a differenza di altri paesi, quindi ben due letti di Garibaldi e presumibilmente due camere rosse in onore del Generale. Un anonimo scultore, si dice uno scalpellino locale, fece un busto in ricordo di Garibaldi, collocato in una nicchia di una facciata di una casa di Vinci alto, senza epigrafe. È stato restaurato pochi anni fa. Ricorda ancora il passaggio vinciarese del grande Italiano.
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La Villa Del Ferrale/Nelle Fiorentine Memorie Lodata/Per Le Belle Campagne/Dove L’arte Illustre Vinse La Natura/Per Genio Immortale Di Leonardo Da Vinci/Che In Quella Sorti’ I Natali/Fu Lieta Di Ospitare/Per Tutto Il Luglio Del MDCCCLXVII/Il Romito Di Caprera/Giuseppe Garibaldi/Che Ne Quieti Riposi Campestri/Meditava Il Compimento/ Dell’OperaCui Consacrò La Mente/ E Il BraccioIl Riscatto Di Ogni Terra Italiana./P. P. Masetti P. Q. M. Il Giugno Del MDCCCLXXXIVRestaurando La Villa
venerdì 4 marzo 2011
LA VEGLIA CON I SANTI. Vinci, 4 marzo 2011
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