sabato 19 febbraio 2011

VINCI 27 APRILE 1859, L'ADDIO AL GRANDUCA

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L'ARRIVO DEL TRICOLORE
IN TOSCANA ED A VINCI

Il 27 Aprile 1859 si verificò a Firenze una rivolta spontanea e apparentemente pacifica. Il Regno di Sardegna si trovava in stato di guerra con l'Austria ed i fiorentini aspiravano di marciare a fianco dei Sabaudi, contro il nemico giurato d'Italia. Il Granduca Leopoldo II capì che il Granducato volgeva al termine. Abdicò e se ne andò con la famiglia. Una rivoluzione senza un vetro rotto e senza una carrozza rovesciata, fu definita da alcuni osservatori del tempo.





Anche nel piccolo paesino di Vinci, contando fiorentino, si festeggiò la partenza del Granduca come ricorda Renato Fucini, all’epoca a Vinci dai propri genitori per trascorrere una breve vacanza.

" Il 27 aprile, con la fuga di Leopoldo II da Firenze, aveva segnato il principio di queste gioie nazionali le quali, riaccendendosi tratto tratto alla notizia di vittorie, per Palestro e per Montebello, per Solferino e S. Martino, cessarono, convertendosi in un muto scoramento, dopo la pace di Villafranca. Se e con quali fiamme nel cuore giovanile io partecipassi a tanta gioia non occorre dire. La mattina del 27 aprile io ero a Vinci, in vacanza. Mio padre, in compagnia di tre o quattro amici (quella pittoresca borgata, con una popolazione di circa trecento anime, fra le quali diciotto preti, non poteva dare un maggior numero di liberali), era quella mattina in grande agitazione perchè, da un momento all'altro, attendeva notizie di quello che egli sapeva dover accadere a Firenze. Quando giunse la notizia, circa il mezzogiorno, non so da chi e da qual parte, che il Granduca era scappato, che Firenze era in festa, e che la rivoluzione toscana era compiuta, una bandiera tricolore sventolò improvvisamente a una finestra della mia casa, poi un'altra sulla torre medioevale, e il vecchio campano incominciò a suonare a distesa mentre tutta la popolazione, meno i diciotto preti, uscirono in piazza e, come presi da contagio, cominciarono ad acclamare, forse incoscienti, alla bandiera che sventolava nel cielo sereno e a qualche cosa d'indefinito ma di grande che il campano annunziava con la sua voce solenne. Mia madre cavò fuori una scatoletta piena di coccarde tricolori, mio padre me ne appuntò una sul petto dopo avermela fatta baciare, e con un gesto da farmi credere che in un attimo la mia statura fosse alzata per lo meno un palmo, mi disse: — Va' anche tu a fare allegria per la patria! — "
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Vinci, 1870
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Quanto cammino aveva fatto il mio paese in pochi anni, dai fossi di Livorno dove andavo a pescare i crògnoli, col pittore Baldini, guardato in cagnesco dagli Austriaci che passavano in pattuglie arcigne e taciturne nel silenzio dei fossi, alla piazzetta di Vinci imbandierata e risuonante di grida festose, di inni patriottici, e di alte acclamazioni al caporale degli zuavi di Palestro, e al fatato eroe di Como e di Varese: Garibaldi, Garibaldi!
Renato Fucini, da Foglie al vento
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Nel nome di Garibaldi termina questa inconsapevole cronaca, come si direbbe oggi, di una giornata epocale per il popolo toscano, che nel marzo del successivo anno votò con plebiscito l'annessione alla monarchia costituzionale del Re Vittorio Emanuele, come ricorda ancora la lapide apposta sul Palazzo del Comune di Vinci.
Qualche anno più tardi, Garibaldi venne davvero a Vinci. Vi trascorse un breve periodo di riposo, dopo la famosa ferita di Aspromonte, ospite delle illuminate famiglie vinciaresi dei Martelli e dei Masetti da Bagnasco ... la storica continua alla prossima puntata !
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