sabato 7 settembre 2013

IL FICO DI VINCI. TRADIZIONE, CULTURA E "POLITICA" DI UN PRODOTTO TIPICO DEL NOSTRO TERRITORIO (1^PARTE)


Il fico dottato

IL FICO DI VINCI
STORIA, TRADIZIONE E  «POLITICA»
DI UN GRANDE PRODOTTO
 DEL NOSTRO TERRITORIO.
(CAPITOLO PRIMO)  

Non v’è dubbio che uno dei prodotti tipici del nostro territorio sia il fico, sia fresco (base di antipasti e piatti di stagione) che secco. Magari non si è avuta l’arte di promuovere la passione per il fico “secco” come nel versante pratese del Montalbano. La cosa non stupisce se si conosce l’attenzione vinciana  al tornaconto, ovvero al massimo profitto con il minimo sforzo, visto che per fama il fico secco è sempre stato considerato prodotto di poco valore ( “Non tu vali che un fico secco”, si diceva una volta quando si voleva offendere qualcuno). Tuttavia fin da tempi remoti nella nostra campagna il fico è stato piantato in forma  promiscua, in campi e giardini,  spesso consociato a viti ed ulivi. La produzione locale è  rivolta pressoché al consumo familiare, dove  i canicci – tipici canestri intrecciati - sui quali vengono stesi i fichi ad essiccare si trovano in ogni casa contadina.

La pianta di fico più frequente è il “dottato”, un fico bianco, buono sia colto e mangiato, che per la conservazione e essiccazione; anche se da noi sono molto prequenti i “verdini” caratteristici per la buccia scura e il contenuto dal colore rosso sangue (buonissimi anche con il salame toscano).
 
Oh che bel fico che tu sei !!! (Fico dottato di Vinci)

Il "fico" ha una sua storia nel linguaggio giovanile e in particolare toscano, aggiungerei nostrano. Con l’esclamazione  “ Oh che bel fico che sei!!!”  s’indica una persona di bella presenza oppure molto accurata e vestita alla moda, fino a divenire nel diminutivo “fighetto o fichino” il sinonimo di persona addirittura frivola, che bada solo all’apparenza e poco ai contenuti (a Vinci esiste anche una dinastia di “fichini” … intesa però come soprannome!).  Bisogna stare attenti al femminile della parola, perché in questo caso assume un altro significato, sul quale preferiamo sorvolare. 

Torniamo però al fico nostrano, vero e proprio, perché nel nostro vernacolo vinciarese abbiamo anche la categoria dei “ficosi” ovvero di coloro che sono abituati a fare tante smorfie e leziosaggini ( dette appunto “fichi”)  o impiantare inutili sceneggiate, magari far diventare la minima cosa una gigantesca trovata (“ ... ma quanti fichi hanno fatto !!! “, pensando anche visivamente agli abbondanti raccolti di fichi oppure ai modi sontuosi e vani, alla fine di scarso valore anche perche di facile reperibilità) oppure a chi fa finta di non volere magari una cosa (“ Ma no!! Che fai !! ovvia …”) e sotto sotto tira a prendere: un atteggiamento considerato talvolta di (finta) buona educazione che va anche sotto il nome “ di fare i complimenti”.


Il fico era di solito piantato vicino ad ogni casa di contadino


Nella letteratura popolare di Vinci abbiamo una particolarissima versione cinquecentesca del fico "politico" nel sonetto che un anonimo vinciarese dedicò ai Cerretani, come vengono chiamati gli abitanti del paese vicino ( in verità si dovrebbero chiamare cerretesi) accomunati all’epoca in un’unica Podesteria, con inevitabili contrasti per avere ciascuno il banco del Podestà nel proprio paese. Per cui, si legge, a Cerreto Guidi: 

Se fatto un Cavalier gran chiasso fanno,
e non an carità, né discrezione;
e andando avanti per supposizione
all'altrui Fama recano gran danno.

I Preti che alle Femmine fan corte
fiscaleggian gelosi, e dan l'esilio
minacciano a chi lor nega le sporte.


A Vinci non rimaneva che raccogliere il danno e la beffa di molte arie e falsa burocrazia. Sopportare e stare zitti. Forse da tale atteggiamento “pomposo” degli amministratori e dei preti vicini deriva anche il soprannome antico di “ficuzzolai”  dato agli abitanti di quella terra ? Non è dato sapere se non per una tradizione orale ( vedi anche AA.VV. “ Befanate e scherzi in poesia”, Sarnus 2011) . Non è un caso che proprio ai “fichi” politici o squisitamente convenevoli siano legati tantissimi proverbi toscani, addirittura dal Giusti, per cui “ In tempo dei fichi non si hanno amici” , “Sol di parole amico non vale un fico!”. Tremendo anche l’antico detto “ Chi vuol fare onore all’amico, ciccia di troia con legno di fico”, che secondo l’interprete toscano del XIX secolo significherebbe che chi dice di voler fare onore all’amico (magari con lodi sperticate e magistrali complimenti) per lo più lo inganna e lo fa star male. La carne di troia, invece, sarebbe quella che cuoce più tardi di tutte e la legna di fico è quella che fa il fuoco leggero, lento, insomma che arriva poco “ Chi vuol fare onore all’amico, faccia foco col legno di fico”
State attenti … cari amici vinciaresi !!!
(Gangalandi)


I FICHI DI STEFANO E CRISTINA

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