Il fico dottato |
IL FICO DI VINCI
STORIA, TRADIZIONE E «POLITICA»
DI UN GRANDE PRODOTTO
DEL NOSTRO TERRITORIO.
(CAPITOLO
PRIMO)
Non v’è
dubbio che uno dei prodotti tipici del nostro territorio sia il fico, sia
fresco (base di antipasti e piatti di stagione) che secco. Magari non si è
avuta l’arte di promuovere la passione per il fico “secco” come nel versante
pratese del Montalbano. La cosa non stupisce se si conosce l’attenzione
vinciana al tornaconto, ovvero al
massimo profitto con il minimo sforzo, visto che per fama il fico secco è
sempre stato considerato prodotto di poco valore ( “Non tu vali che un fico
secco”, si diceva una volta quando si voleva offendere qualcuno). Tuttavia fin
da tempi remoti nella nostra campagna il fico è stato piantato in forma promiscua, in campi e giardini, spesso consociato a viti ed ulivi. La
produzione locale è rivolta pressoché al
consumo familiare, dove i canicci –
tipici canestri intrecciati - sui quali vengono stesi i fichi ad essiccare si
trovano in ogni casa contadina.
La pianta di
fico più frequente è il “dottato”, un fico bianco, buono sia colto e mangiato,
che per la conservazione e essiccazione; anche se da noi sono molto prequenti i
“verdini” caratteristici per la buccia scura e il contenuto dal colore rosso
sangue (buonissimi anche con il salame toscano).
Oh che bel fico che tu sei !!! (Fico dottato di Vinci) |
Il "fico"
ha una sua storia nel linguaggio giovanile e in particolare toscano,
aggiungerei nostrano. Con
l’esclamazione “ Oh che bel fico che
sei!!!” s’indica una persona di bella
presenza oppure molto accurata e vestita alla moda, fino a divenire nel
diminutivo “fighetto o fichino” il sinonimo di persona addirittura frivola, che
bada solo all’apparenza e poco ai contenuti (a Vinci esiste anche una dinastia
di “fichini” … intesa però come soprannome!).
Bisogna stare attenti al femminile della parola, perché in questo caso
assume un altro significato, sul quale preferiamo sorvolare.
Torniamo
però al fico nostrano, vero e proprio, perché nel nostro vernacolo vinciarese
abbiamo anche la categoria dei “ficosi” ovvero di coloro che sono abituati a
fare tante smorfie e leziosaggini ( dette appunto “fichi”) o impiantare inutili sceneggiate, magari far
diventare la minima cosa una gigantesca trovata (“ ... ma quanti fichi hanno fatto
!!! “, pensando anche visivamente agli abbondanti raccolti di fichi oppure ai
modi sontuosi e vani, alla fine di scarso valore anche perche di facile
reperibilità) oppure a chi fa finta di non volere magari una cosa (“ Ma no!!
Che fai !! ovvia …”) e sotto sotto tira a prendere: un atteggiamento considerato
talvolta di (finta) buona educazione che va anche sotto il nome “ di fare i
complimenti”.
Il fico era di solito piantato vicino ad ogni casa di contadino |
Nella
letteratura popolare di Vinci abbiamo una particolarissima versione
cinquecentesca del fico "politico" nel sonetto che un anonimo vinciarese dedicò
ai Cerretani, come vengono chiamati gli abitanti del paese vicino ( in verità
si dovrebbero chiamare cerretesi) accomunati all’epoca in un’unica Podesteria,
con inevitabili contrasti per avere ciascuno il banco del Podestà nel proprio
paese. Per cui, si legge, a Cerreto Guidi:
Se fatto un Cavalier gran chiasso fanno,
I Preti che alle Femmine fan corte
Se fatto un Cavalier gran chiasso fanno,
e non an carità, né discrezione;
e andando avanti per supposizione
all'altrui Fama recano gran danno.
I Preti che alle Femmine fan corte
fiscaleggian gelosi, e dan l'esilio
minacciano a chi lor nega le sporte.
A Vinci non rimaneva che raccogliere il danno e la beffa di molte arie e falsa burocrazia. Sopportare e stare zitti. Forse da tale atteggiamento “pomposo” degli amministratori e dei preti vicini deriva anche il soprannome antico di “ficuzzolai” dato agli abitanti di quella terra ? Non è dato sapere se non per una tradizione orale ( vedi anche AA.VV. “ Befanate e scherzi in poesia”, Sarnus 2011) . Non è un caso che proprio ai “fichi” politici o squisitamente convenevoli siano legati tantissimi proverbi toscani, addirittura dal Giusti, per cui “ In tempo dei fichi non si hanno amici” , “Sol di parole amico non vale un fico!”. Tremendo anche l’antico detto “ Chi vuol fare onore all’amico, ciccia di troia con legno di fico”, che secondo l’interprete toscano del XIX secolo significherebbe che chi dice di voler fare onore all’amico (magari con lodi sperticate e magistrali complimenti) per lo più lo inganna e lo fa star male. La carne di troia, invece, sarebbe quella che cuoce più tardi di tutte e la legna di fico è quella che fa il fuoco leggero, lento, insomma che arriva poco “ Chi vuol fare onore all’amico, faccia foco col legno di fico”.
State attenti … cari amici
vinciaresi !!!
(Gangalandi)
I FICHI DI STEFANO E CRISTINA |
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