martedì 17 febbraio 2015

IL “LUME ALLA VIGNA ” OVVERO IL LUME DEL CARNEVALE A VINCI E SUL MONTALBANO. TRADIZIONE E CULTURA DELLA FESTA.



IL “LUME ALLA VIGNA ” OVVERO IL LUME DEL CARNEVALE. 
TRADIZIONE E CULTURA DELLA FESTA NEL MONDO CONTADINO
 
Il “lume al grano” è un’antica usanza del tempo di Carnevale che risale al mondo pagano. Si è tramandata per millenni fino ai nostri giorni per scongiurare uno dei maggiori malanni per la civiltà contadina, la malattia del grano detto carbonchio o golpe. Nell’ultima sera di carnevale, soprattutto nelle campagne intorno a Firenze, era d’uso che i contadini scendessero con delle torce in mano nei campi seminati con il grano,  mettendo in scena un vero e proprio “rito agrario” antichissimo. Tale usanza era accompagnata da una cantilena, una preghiera, “Grano, grano, non carbonchiare/ ‘ll’è l’ultima di carnevale./Tanto al piano che al poggio/una spiga ne faccia un moggio”, la cui origine e storia si perde nel corso dei tempi. “Siamo in presenza di un umanesimo popolare (vogliamo chiamarlo così) che vede l’uomo cercare affannosamente di prevedere, prevenire, curare perché tutto si può evitare e, in definitiva, l’uomo è responsabile degli eventi essenziali della vita ( Alessandro Fornai: In parole povere 2008 pag. 72).
Nelle terre del Montalbano non sembra che la tradizione sia rimasta o ve ne sia una traccia. Tuttavia sentiti i vecchi contadini (di Vinci, Apparita e Lamporecchio) viene ricordata un’altra usanza, molto simile, il “lume alla vigna”.
L’evento non s’innesta nella storia e ciclo del grano, bensì in quello della vite, cultura tipica del nostro territorio. I vecchi ricordano ancora di fuochi accesi ai bordi delle vigne e di camminate con torce in mano per le prode cantando stornelli o filastrocche. 
La più frequente “Uva uva fammi il tralcio ti fo il lume per Berlingaccio”.
Il senso profondo del rito è praticamente lo stesso. In questo periodo la pianta della vite stava subendo la potatura invernale. I contadini iniziavano a procurarsi i salci per poter legare le fascine. Gli alberi di salici erano molto frequenti nella nostra zona. Oggi, purtroppo, per consentire una maggiore sicurezza per i mezzi meccanici vengono tagliati, deturpando un po’ il paesaggio. Al posto del “salice” gli agricoltori impiegano altri materiali e sistemi. Viene meno la poesia del tempo. La cantilena del berlingaggio nascondeva comunque l’identica paura e il timore per il futuro del raccolto, che la vite non ributtasse adeguatamente, motivo per il quale si curava e si assisteva.




La variante del Montalbano è il giorno del rito. Non l’ultimo di Carnevale, bensì  il Berlingaccio, la festa che si celebra il “giovedì grasso” ovvero il giovedì precedente  l'ultimo giorno di carnevale. Il termine potrebbe derivare dal tedesco "bretling" (tavola), dal latino per+ligere (leccare con insistenza, nel senso di mangiare gustosamente) o, sempre dal latino, berlengo (tavola, mensa). Tutti i significati riportano tuttavia alla tavola, al cibo e in particolare ai dolci che era uso mangiare per questa festa. A Firenze  il dolce più frequente di questa stagione era ed è la schiacciata fiorentina. Dalle nostre parti resta il berlingozzo. Di solito, il giovedì grasso era l’occasione di grandi cenoni - "Per Berlingaccio chi non ha ciccia ammazzi il gatto!", dicevano i contadini, da digerire e smaltire con le camminate per le vigne, di ritorno, ai casolari. Testimonianze della festa si sono ritrovate addirittura in alcuni documenti fiorentini del XV secolo "È berlingaccio quel giovedì, che va innanzi al giorno del carnesciale, che i Lombardi chiamano la giobbia grassa." (Benedetto Varchi, 1416).
Sarebbe interessante scoprire se anche l’usanza contadina e la filastrocca di “fare lume alla vigna” sia antica come la festa oppure sia una derivazione per analogia e adattamento dell’antica festa pagana legata al ciclo del grano tipica di altre zone dello stesso contado fiorentino.

 
I' calendario contadino di Gangalandi, 2015

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