LE LINGUACCE DEI FUCINI AL CONSIGLIO COMUNALE DI VINCI
Un piccolo cimelio vinciano d'augurio per i nuovi consiglieri comunali
Domani, domenica 25 maggio 2014 si vota per il rinnovo dell'amministrazione comunale di Vinci. Come auspicio si
pubblica un piccolo cimelio vinciano, tratto da “Befanate e scherzi in poesia”
(Sarnus 2011) ovvero il certificato elettorale per il rinnovo parziale dell'amministrazione comunale di Vinci dell’anno 1905. A quel tempo in consiglio comunale sedeva anche
lo scrittore e poeta Renato Fucini. Già in precedenza il padre David era stato, oltre
che consigliere, anche Vice Sindaco. Entrambi sono stati arguti caricaturisti
dei colleghi consiglieri comunali di Vinci. Storiche sono alcune “befanate” e “scherzi
in poesia” scritti o, comunque,
commentati durante le sedute consiliari alle spalle del malcapitato collega. Alcuni sono stati riportati in vari scritti del Fucini, per esempio nella raccolta "Acqua Passata", altri si sono tramandati grazie alla memoria della gente. Per
la lettura dei testi più famosi rimandiamo al volume delle “Befanate vinciaresi"
. Ci piace ricordare come era all'epoca assai ristretto il circolo “comunale”
dei governanti. Sempre le stesse facce e famiglie (Baldi Papini, Martelli, Salvi, Comparini, Masetti ....) a guidare le sorti del paese di Leonardo
e quelle nazionali. Non a caso, a Vinci, è stato sindaco Roberto Martelli
ininterrottamente dal 1881 al 1914 ovvero fino all’introduzione del suffragio
universale “maschile”. A votare erano chiamate poche persone.
Secondo le normative statali, l’elettorato attivo
del 1905 era ancora quello stabilito con la legge Zanardelli del 1882.
Se nella precedente legge il principio fondamentale
su cui veniva selezionato il corpo
elettorale era il “reddito” (peraltro molto alto), la riforma
del 1882 riconosceva un ruolo prioritario alla “capacità”, ovvero si richiedeva all'elettore una competenza necessaria per seguire e
comprendere il dibattito politico, fondamentale per scegliere il
proprio rappresentante. L’elemento più innovativo fu quello di collegare la legge elettorale all’obbligo
dell’istruzione elementare: accanto a chi dimostrava di avere un censo
di £. 19,50 poteva votare anche il cittadino alfabetizzato. I governanti del tempo temevano tuttavia il suffragio universale. Pensavano che avrebbe aperto le porte degli uffici del potere alle forze conservatrici e clericali grazie ad una grande quantità di contadini analfabeti, facilmente suggestionabili. Il diritto di
esprimere il proprio voto si acquisiva
dopo avere frequentato il biennio obbligatorio della scuola elementare
istituito con la legge Coppino (1876). La legge elettorale di Zanardelli introduceva per la prima volta anche lo studio dei doveri dei cittadini, una sorta di educazione civica, nei programmi ministeriali del biennio. Tra i nuovi elettori venivano aggiunti coloro che
durante il servizio militare biennale avevano frequentato con successo la scuola del reggimento.
L’elettorato attivo non arrivò mai al 10%, almeno fino alla riforma giolittiana del 1912 (suffragio universale maschile). In pratica era una “monoclasse” a governare il paese Italia. Anche se all’interno di questa minima percentuale di votanti il rapporto tra reddito e capacità s’invertiva nel Novecento. All’inizio era maggiore la percentuale dei “ricchi”, successivamente dei “titolati”.
L’elettorato attivo non arrivò mai al 10%, almeno fino alla riforma giolittiana del 1912 (suffragio universale maschile). In pratica era una “monoclasse” a governare il paese Italia. Anche se all’interno di questa minima percentuale di votanti il rapporto tra reddito e capacità s’invertiva nel Novecento. All’inizio era maggiore la percentuale dei “ricchi”, successivamente dei “titolati”.
Fondamentale
per le classi più povere del tempo era garantire ai propri figli un minimo di
istruzione per affrancarsi dal bisogno e dall’ignoranza, incominciare ad avere
una propria rappresentanza e una voce per discutere le sorti della nazione.
Nascevano su tale spirito i primi movimenti socialisti, definiti a livello
politico anche come progressisti. Non a caso proprio in quei primi anni del
Novecento venivano eletti nei consigli comunali i primi rappresentati dell’ancora
giovane socialismo italiano.
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