sabato 24 maggio 2014

PER CHI VOTI DOMENICA? ALLE COMUNALI IO VOTO PER LA LINGUACCIA DEL SOR RENATO FUCINI !!! A VINCI CORREVA L'ANNO 1905.

LE LINGUACCE DEI FUCINI AL CONSIGLIO COMUNALE DI VINCI
Un piccolo cimelio vinciano d'augurio per i nuovi consiglieri comunali

Domani, domenica 25 maggio 2014 si vota per il rinnovo dell'amministrazione comunale di Vinci. Come auspicio si pubblica un piccolo cimelio vinciano, tratto da “Befanate e scherzi in poesia” (Sarnus 2011) ovvero il certificato elettorale per il rinnovo parziale dell'amministrazione comunale di Vinci dell’anno 1905. A quel tempo in consiglio comunale sedeva anche lo scrittore e poeta Renato Fucini. Già in precedenza il padre David era stato, oltre che consigliere, anche Vice Sindaco. Entrambi sono stati arguti caricaturisti dei colleghi consiglieri comunali di Vinci. Storiche sono alcune “befanate” e “scherzi in  poesia” scritti o, comunque, commentati durante le sedute consiliari alle spalle del malcapitato collega. Alcuni sono stati riportati in vari scritti del Fucini, per esempio nella raccolta "Acqua Passata", altri si sono tramandati grazie alla memoria della gente. Per la lettura dei testi più famosi rimandiamo al volume delle “Befanate vinciaresi" . Ci piace ricordare come era all'epoca assai ristretto il circolo “comunale” dei governanti. Sempre le stesse facce e famiglie (Baldi Papini, Martelli, Salvi, Comparini, Masetti ....) a guidare le sorti del paese di Leonardo e quelle nazionali. Non a caso, a Vinci, è stato sindaco Roberto Martelli ininterrottamente dal 1881 al 1914 ovvero fino all’introduzione del suffragio universale “maschile”. A votare erano chiamate poche persone. 

Secondo le normative statali, l’elettorato attivo del 1905 era ancora quello stabilito con la legge Zanardelli del 1882. Se nella precedente legge il principio fondamentale su cui veniva selezionato il corpo elettorale era il “reddito” (peraltro molto alto), la riforma del 1882 riconosceva un ruolo prioritario alla “capacità”,  ovvero si richiedeva all'elettore una competenza necessaria per seguire e comprendere il dibattito politico, fondamentale per scegliere il proprio rappresentante. L’elemento più innovativo fu  quello di collegare la legge elettorale all’obbligo dell’istruzione elementare: accanto a chi dimostrava di avere un censo di £. 19,50 poteva votare anche il cittadino alfabetizzato. I governanti del tempo temevano tuttavia il suffragio universale. Pensavano che avrebbe aperto le porte degli uffici del potere alle forze conservatrici e clericali grazie ad una grande quantità di contadini analfabeti, facilmente suggestionabili. Il diritto di esprimere  il proprio voto si acquisiva dopo avere frequentato il biennio obbligatorio della scuola elementare istituito con la legge Coppino (1876). La legge elettorale di Zanardelli introduceva per la prima volta anche lo studio dei doveri dei cittadini, una sorta di educazione civica,  nei programmi ministeriali del biennio. Tra i nuovi elettori venivano aggiunti coloro che durante il servizio militare biennale avevano frequentato con successo la scuola del reggimento.
L’elettorato attivo non arrivò mai al 10%, almeno fino alla riforma giolittiana del 1912 (suffragio universale maschile). In pratica era  una “monoclasse” a governare il paese Italia. Anche se all’interno di questa minima percentuale di votanti il rapporto tra reddito e capacità s’invertiva nel Novecento. All’inizio era maggiore la percentuale dei “ricchi”, successivamente dei “titolati”. 

Fondamentale per le classi più povere del tempo era garantire ai propri figli un minimo di istruzione per affrancarsi dal bisogno e dall’ignoranza, incominciare ad avere una propria rappresentanza e una voce per discutere le sorti della nazione. Nascevano su tale spirito i primi movimenti socialisti, definiti a livello politico anche come progressisti. Non a caso proprio in quei primi anni del Novecento venivano eletti nei consigli comunali i primi rappresentati dell’ancora giovane socialismo italiano. 

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