giovedì 17 marzo 2011

IL MIRACOLO VINCIARESE DEL TRICOLORE !

Vinci, 17.3.1861 - 17.3.2011
VERSO L'ANNIVERSARIO DELL'UNITA' D'ITALIA
(V parte)
ò
LA BANDIERA ITALIANA
L
Ogni figlio italiano, che in petto
serbi un cor veramente italiano,
del più caldo santissimo affetto
palpitare a tal vista dovrà.
De’ colori più belli dell’iri
si compone quel santo vessillo,
or chi fia che ondeggiar lo miro
o che l’alma non senta infiammar?
Il vermiglio ti dice che il core
arde in petto del prode italiano,
ed il bianco ti addita il candore
e la fé di chi vola a pugnar.
La speranza d’Italia è nel verde:
finalmente vi trovi scolpita
la speranza che l’ultima perde
chi s’accinge la patria a salvare.
,
Cantata in un teatro di Firenze nel 1848
,..
Un miracolo della bandiera tricolore
Un aneddoto risorgimentale
e una tradizione vinciarese,
tra storia e leggenda
.
Vinci, 27 aprile 1859.

Il paese mangiava, era anzi al principio del chilo, quando non si sa nè come nè da qual parte, arrivò la notizia della partenza del Granduca da Firenze, con molti particolari del meraviglioso avvenimento. Fu come dar fuoco ad una mina ! I liberali veri e quelli improvvisati, lasciata la tavola o il letto, sbucarono fuori primi, come per incanto; poi tutti. Sbucarono coccarde, sbucarono suonatori, sbucò una bandiera tricolore e fu fatto sbucare anche il guardiano della bruna torre medioevale ( un certo Millo, fabbroferraio, adoratore di Bacco, lungo, storto e tutto tinto di nero), il quale, insieme con le chiavi del maestoso rudere, aveva l’incarico di suonare il campano nelle grandi solennità e tutte le volte che occorreva chiamare a consiglio i patriarcali padri della patria.
La bandiera fu portata in torre e dietro a lei una lunga antenna sulla quale, dopo una mezz’ora, mescolando i suoi schiocchi con la voce del campano che chiamava a festa le campagne, essa incominciò a sventolare, giovine e allegra, dentro un sereno di paradiso.
Un branco di ragazzi, fra i quali il sottoscritto ( Renato Fucini, giovinetto fra i 15 e 16 anni), ci fogammo dietro ai portatori della bandiera e dell’antenna fino all’alto della torre; e di lassù incominciammo a mandare battimani e strilli di gioia al popolo radunato che ci rispondeva e ai malfattori che giù, in piazza, dato fiato alle trombe, assassinavano inni patriottici disperatamente.
Millo, dopo desinare era, secondo il solito, un po’ alticcio; per cui partecipando anch’egli alla gioia generale, rispondeva alle acclamazioni che salivano dalla piazza, urlando, smanacciando e ballonzolando, da uomo che ci aveva confidenza, sulla cimasa del parapetto.
Ad un tratto, un urlo di terrore si alzò sulla torre e nella piazza, il campano e gli strumenti di lavoro tacquero, e tutti gli occhi furono rivolti al corpo sgangherato di Millo, il quale, sdrucciolando e cadendo, era rimasto in bilico su quel muro, alto da terra una trentina di metri, dove, col capo fuori e le gambe dentro, rimase per qualche secondo ad oscillare, fra la vita e la morte. Due o tre dei più animosi si avventurarono per agguantarlo, ma quel raccapricciante oscillamento durò così poco che non furono in tempo. Millo scivolò nel vuoto, e, quasi nello stesso istante, scoppiò un nuovo urlo disperato, si udì un tonfo, uno sgretolìo di tegoli e poi il silenzio.
Successe un momento di esitazione; quindi giù tutti a precipizio per le scalee.
Appena incamminatomi per la scesa che mena alla piazza, le prime persone che incontrai, per farmi ricordare che ero vivo, furono: mio padre che accorreva per dar soccorso materiale; il proposto che portava i suoi conforti spirituali, e un parente del caduto, il quale correva tenendo in mano un corbello per metterci dentro (come disse poi a chi gli domanda la ragione di quel corbello) le ossa di Millo.
Millo era cascato sopra un tetto. Sfondato il tetto, la Provvidenza lo aveva fatto precipitare sopra un letto dove era a dormire un disgraziato, il quale poco mancò che non morisse dallo spavento al rovinio di carne umana, travicelli e di tegoli che gli scaricò addosso, svegliandolo.
Millo, incontrati fuori della porta, il medico, il prete e il parente del corbello, chiese loro, per carità, un bicchiere di vino perché il suo disturbo era stato così grozzo che quasi non si reggeva più sulle gambe.
Incerottate alla lesta le poche sgraffiature che aveva nel viso, Millo andò sollecito a casa a rifocillarsi, i musicanti e il popolo furono presi da nuovo accesso di furore patriottico, e la bandiera continuò a sventolare maestosa nell’immacolato sereno della sua Italia.

Renato Fucini, da Un miracolo della bandiera in Acqua Passata, 1918

. -.

L'ex-voto di Millo, Vinci

MILLO BRIA'ONE, IL CECCO SANTI DEL 1861 ?

Il volo di Cecco Santi, manifestazione folkloristica comune a molti paesi della Toscana, dalle origini storiche tuttavia ancora molto incerte (a Vinci sembra iniziata soltanto nei primi dell’Ottocento), ha assunto una propria autonoma leggenda popolare, peraltro legandola indissolubilmente al “vino di Vinci” e alla vicenda umana di Millo, cosí come viene riportata dalla tradizione orale. Il fatto a cui ci si riferisce viene ripreso nelle cronache locali, trascritto nel 1872 dall’Uzielli e dal Signorini nelle celebri note di viaggio a Vinci (i quali accomunano la manifestazione, “per bocca” di un ragazzo vinciano, allo storico volo di Empoli); riportato dal Fucini in un racconto con risvolto patriottico, seppure datandolo al 27.04.1859 (per cui Millo “adoratore di Bacco” sarebbe caduto mentre andava a sventolare il tricolore sabaudo, dopo la partenza dell’ultimo Granduca); annotato da don Quirino Giani, lo storico priore di Santa Lucia nei primi del Novecento, che riporta tuttavia l’episodio al Volo di Cecco Santi del 1861, in occasione della festa della Santa Trinità del 26 maggio 1861.
Secondo quest'ultima versione un certo Filippo Fabbrizzi, soprannominato Millo, “ un fabbro lungo lungo, magro allampanato e bevitore impenitente “ , che per l’occasione svolgeva la funzione di “campanaio” in su la torre di Vinci (questo secondo il Signorini, che ne faceva anche un piccolo disegno), ormai ubriaco a causa delle soverchie libagioni di vino offerte al fantoccio, ma da lui consumate, precipitava al di sotto del cassero, sfondava il tetto di una camera e per la botola di essa andava a finire, ruzzolando, nella cucina sottostante di un certo Bruschino, giacente infermo in una piccola camera, ove Millo pressoché illeso dal volo fece cosí stranamente il suo ingresso.
La gente gridó al miracolo e volle addirittura che ne fosse perpetuata la memoria in un quadretto ad olio ex voto per l’altare del SS. Crocifisso, ancora conservato nella Chiesa propositura di Vinci.
I men credenti “ - conclude don Quirino – affermarono che l’ampia camicia di Millo, gonfiatosi a piú non posso durante la caduta, lo salvó da certa morte, funzionando mirabilmente da paracadute”.
I piú burloni invece hanno tramandato e attribuito la sua salvezza all’indubbia forza salvifica del vino di Vinci, grazie al quale il protagonista Cecco – Millo, come in una sorta di supremo giudizio divino, dopo quello funesto e goliardico degli uomini, riusciva a scampare da una rovinosa fine
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N. Baronti: Appunti per una storia del vino di Vinci da www.grappina.it

Vinci, 17.3.2011

Quale versione sia più attendibile non è dato sapere, tuttavia dall’ex-voto ancora conservato presso la Propositura di Vinci sopra la vecchia torre sventola la bandiera tricolore di cui alla memoria del sor Renato : “giovine e allegra, dentro un sereno di paradiso” .
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Terrazzino vinciarese, 17.3.2011
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Buon Compleanno, Italia

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